Di Sergio Andreis, Lunaria e Willeke van Staalduinen, AFEdemy
Nel progetto SDD (Smart for Democracy and Diversity), sviluppiamo un gioco educativo basato su scenari tratti da esperienze di vita di persone che sono o si sentono discriminate.
Iniziamo oggi con la prima delle cinque storie pubblicate nel Compendio SDD. Le storie hanno una cadenza ogni quattro settimane, dopo di che i caratteri del gioco SDD saranno elaborati.
Ecco Tobia
Tobia ha poco più di vent’anni e vive in una grande città tedesca. E’ cresciuto e andato a scuola in un villaggio bavarese. Dopo essersi diplomato alla scuola media superiore si è trasferito per continuare i suoi studi. Il papà è originario della Nigeria, che visita una volta all’anno per far visita alla sua famiglia e conoscenti. Con la sua famiglia ha vissuto per qualche tempo in Francia e si descrive come persona politica e interessato alle scienze umane.
Tobia dice che, in quanto fra le poche persone di colore nella sua scuola e nella sua vita quotidiana si è sempre sentito molto esposto. Commenti razzisti nei suoi confronti, insulti in particolare, sono sempre stati una realtà quotidiana. Li descrive come luoghi comuni e potenzialmente presenti ovunque. Quando racconta dei primi anni della sua giovinezza è visibilmente irritato. Nella grande città, dice, la vita è molto migliore che nel villaggio in cui è cresciuto. Più aperta, sostiene, e lui non si sente più così tanto esposto come in precedenza.
Quando era più giovane è stato ripetutamente insultato con la parola N, addirittura da uno dei suoi insegnanti, al punto che ha sentito di dover reagire. Solo un colloquio fra sua madre e il preside ha messo fine al comportamento dell’insegnante. Tobia si ricorda di attacchi e scontri fisici, ad esempio durante eventi pubblici. E’ convinto che fossero spesso motivati da razzismo. Ricorda anche quando persone andavano dall’altra parte della strada per evitare di dover passargli vicino.
Esempi di discriminazione non hanno toccato solo lui. Per settimane suo padre è stato quasi quotidianamente fermato dalla polizia durante i 40 chilometri di pendolarismo e spesso è arrivato tardi al lavoro. Anche Tobia ha avuto esperienze estremamente negative con la polizia. E’ stato più volte fermato senza motivo, unico fra altra gente. Una volta, in una stazione di polizia, ha dovuto subire, con le mani alzate, una perquisizione corporale. Descrive l’esperienza come un marchio perché nel villaggio dove viveva e dove è accaduta molti lo conoscevano. In un’altra occasione lui e alcuni amici sono stati fermati alla stazione ferroviaria. Aveva 17 anni e i poliziotti l’hanno preso di mira, trovando su di lui una quantità minima di marijuana, con conseguente identificazione e ripetuti controlli, il divieto di parlare in francese con la madre e, successivamente, illegalmente, mentre la mamma era uscita, l’ingresso forzato nell’appartamento e una perquisizione della stanza di Tobia. Che descrive l’esperienza come traumatizzante, con, tuttora, il senso di disagio da qualsiasi contatto con personale della polizia.
Il papà gli ha insegnato molto presto a reagire e a imporsi. Tobia racconta che i suoi amici sono sempre stati dalla sua parte. Gli estranei, invece, tendono a rimuovere situazioni simili.
Non si fida della polizia ed è scettico rispetto alle altre istituzioni. Rimpiange di non aver saputo prima, all’epoca delle discriminazioni subite, dei servizi di sostegno ai quali avrebbe potuto rivolgersi. Considera positivi tutti gli eventi organizzati ora nelle scuole per informare i ragazzi come lui e pensa che la discriminazione razzista sia basata sull’ignoranza, che spera possa essere contrastata attraverso iniziative educative.
In generale non si sente a proprio agio in Germania. Dice che non ha in programma di restarci. Apprezza la stabilità del mercato del lavoro tedesco e ne capisce i vantaggi economici, ma non vuole sentirsi costantemente vulnerabile. Trova piacevole far visita in Nigeria e la vive come un’esperienza rilassante, anche perché là il colore della sua pelle non emerge rispetto alle altre persone.